Fisiologia dell'aggressione

29.03.2023


Affinchè si possa parlare di aggressione, occorre considerare l'esistenza di due entità essenziali, l'aggressore e l'aggredito, può trattarsi di persone fisiche, gruppi, enti, addirittura Stati.

Queste due figure, in opposizione tra loro, ci saranno sempre, è un dato certo, l'unica variabile possibile è che vi sia più di una vittima oppure più di un'aggressore.


L'aggressione è l'atto violento e coercitivo mediante il quale un soggetto terzo, l'aggressore, ci impone ad esempio  di porre in atto l'esecuzione di un atto opposto alla nostra volontà o la concessione di qualcosa nell'immediato o nel tempo, (da zero all'infinito), che non è nella nostra intenzione concedere.


L'aggressore si autolegittima alla violenza, (in modo consapevole oppure psicologicamente o farmacologicamente indotto), ed al compimento dell'aggressione su piani diversi, che concorrono insieme in un'unica direzione e cioè al desiderio che tutto possa e debba concludersi con ottenimento del risultato da lui sperato.

Questo rappresenta la sua motivazione.



Il dato da cui partire nello stabilire i principi di difesa è che questa sarà l'evoluzione certa dell'aggressione qualora la nostra risposta risulti insufficiente o inesistente.



Breve cenno alla cinestesia nei ruoli durante l'aggressione.



L'aggressore, come accennato, puo' legittimarsi anche attraverso autoinduzione mediante uno stato di alterazione psicofisica da assunzione di sostanze stupefacenti od alcolici o da uno stato emotivo alterato da rabbia, desiderio di rivalsa, anche a distanza di tempo o risultanza di affezione psicopatologica. Tale legittimazione è inconsapevolmente dettata da una limitata inibizione o assenza totale della medesima.


In soldoni significa che non avrà remore o freno morale valido ad interrompere l'azione violenta in quanto, a seconda dei casi citati, potrebbe non avere piena consapevolezza dell'illecito o della pericolosità dell'atto compiuto, oppure averla considerata ed ignorarne gli effetti al punto, in alcuni casi, da produrre la morte della vittima e successivamente consegnarsi alle autorità o porre in atto gesti anticonservativi nei propri confronti.


E' il caso di quelli che "vi porto all'inferno con me".


Questo apre a un distinzione netta nella modalità operativa dell'aggressore, poichè risulta meno probabile che uno stato psicologico alterato da sostanze possa produrre considerazioni lucide come la scelta del luogo dell'aggressione, le modalità, la scelta della vittima, della considerazione di una via di fuga o della stessa necessità di fuggire.


Queste considerazioni, invece, sono pertinenti alla condizione psicofisica alterata da sentimenti di rabbia, ad esempio, oppure ai reati predatori economico-sessuali in soggetti sufficientemente lucidi e possono costituire struttura pianificata nella premeditazione.


Questo principio appena menzionato sviluppa un parallelismo con la controparte, la vittima, la quale potrà contare unicamente sui purtroppo pochi punti a proprio favore che sono:



  • la valutazione nell'immediato dell'ambiente in cui ti trovi, tradotto nelle risorse presenti, (persone a cui chiedere aiuto, prossimità del proprio veicolo, strumenti di fortuna o di autodifesa per agevolarti nel procurarti una via di fuga o limitare i danni).


Pure andrà detto che una buona parte delle azioni di difesa e delle considerazioni saranno fortemente bloccate da una situazione ormonale ed emotiva opposta, soprattutto laddove la memoria muscolare non sia stata fatta oggetto di training specifici.


Un esempio su tutti, le scariche di adrenalina che contribuiranno ad apportare ai muscoli un maggior flusso di sangue ed ossigenazione sino a produrne un non controllabile e violento tremore, (l'organismo si dispone alla battaglia primordiale e reattiva), ed altresi' vincoleranno gli stati percettivi alla cosiddetta visione tunnel, riducendo la cognizione spazio-temporale, (l'organismo esclude tutto ciò che non serve ad una reazione primitiva, prediligendo una risposta violenta e primordiale a cui però non siamo più abituati a causa di secoli di bagni di etica, morale, fede e paranoie assortite).



Sintesi, durante l'aggressione, l'organismo:



  • Spegne la parte raziocinante del cervello, eliminando tutto il "contorno" lasciando visione a tunnel solo sulla minaccia.

  • Spegne la funzione "cognizione del tempo".

  • Massimizza la veicolazione dell'ossigeno ai muscoli di braccia e gambe, preparandoti ad una battaglia primitiva.



Questo è quello che il tuo corpo fa da migliaia di anni quando avverte un pericolo e lo farà sempre, che tu voglia o meno.



Tali tempeste ormonali in rari casi potranno, addirittura, produrre l'immediata perdita di conoscenza. Il cervello proencefalico soccombe e quello mesencefalico "prende il controllo" come un pilota automatico, questa è una delle parti da correggere negli effetti, senza alcun dubbio, pur non potendola impedire in alcun modo.


Un ulteriore aspetto negativo riguarderà l'atteggiamento di non desistenza negli aggressori in condizione psichica alterata, in quanto questa condizione, relativa in particolare modo alla perdita della condizione spazio temporale, affliggerà anche loro. Non avranno, in altre parole, paura del tempo impiegato aggredendo, non percependolo.


In altri termini, un soggetto simile potrà aggredirti anche in mezzo al mercato rionale, accanendosi finchè non si riterrà soddisfatto, non avendo alcuna percezione di tempo e dello scenario operativo.


Nelle minacce che giungono da persona in buono stato cognitivo, aggressione e risposta si baseranno con ogni probabilità sul rapporto costo-beneficio, chi ci vorrà abusare o avrà desiderio della nostra catenina d'argento non la potrà esigere per ore intere, da parte nostra invece non dovremmo avere nessun dubbio sul cedere al violento, armato magari di coltello, il nostro portafogli contenente un valore inferiore a quello che noi attribuiamo al nostro ritorno a casa, dai nostri cari, alla nostra stessa vita.


Questo tipo di aggressore non porrà in essere l'attività criminale per un periodo prolungato, poichè è altamente probabile che il passare del tempo concorrerà alla probabilità che in tuo soccorso possa intervenire una risorsa terza, sempre che tu non sia al centro del deserto del Serengeti.


Un successivo punto di vista ci rende chiaro che avere la possibilità di rallentare l'aggressore, in casi simili, remerà a nostro favore.


Una delle tecniche di difesa per bambini, non a caso, prevede che, in caso di tentato rapimento, il minore si aggrappi con forza alla gamba del rapitore. Regola buona del combattente: "conosci l'avversario".



PERCHE' – Mi sta succedendo davvero?



E' assolutamente fuori da ogni dubbio che un evento traumatico quale possa essere un'aggressione, restituisca all'animo dell'aggredito sensazioni negative, malesseri che possono perdurare nel tempo fino anche ad aggravarsi mutando in vere e proprie patologie.


L'autore non si dilungherà ulteriormente su questi aspetti, in considerazione del fatto che la loro molteplicità non ne permetterebbe una corretta, utile ed autoritaria analisi.


Ci limiteremo, pertanto, a dire che gli stessi possano spaziare da sentimenti avversi alla situazione, immaginando cosa si sarebbe potuto fare, preoccupazioni sulla ripresa fisica od economica in seguito alla natura dell'evento, autocolpevolizzazione ed assunzione di colpa: "non dovevo passare da lì", "me lo sono meritata, dovevo cucinare meglio per il mio povero marito che vive al bar attaccato alla bottiglia".


Questo lascia spazio ad alcune considerazioni di base che, in corso d'opera, ritengo utile sottoporvi.



DOVE – La routine uccide.



Abbiamo visto nel corso dell'esposto sin'ora trattato, di come l'aggressore scelga vittima, tempi e modi nel portare a compimento l'aggressione, mentre alla vittima restino, la reazione istintiva o 'codificata', la fuga, la resa ed un non meglio specificato appiglio alla sorte od alla fede e nel tempo, le conseguenze fisiche e morali dell'aggressione, tra le quali, mio malgrado, devo annoverare anche la possibilità di decesso.


Parimenti, abbiamo visto come nel corso del capitolo precedente, la vittima possa essere interessata da stati psicologici negativi derivanti dall'aggressione. Tra i tanti, intendo occuparmi dei "me la sono cercata".


Premetto, qualora lo si rendesse necessario che, in realtà, la vittima di un' aggressione sia ad ogni effetto esente da "colpe", in quanto la dinamica dell'aggressione viene posta in essere da soggetti privi di scrupoli e per loro determinazione in autonomia di pensiero.


Me la sono cercata ..., potevo evitare..., se davvero avessi potuto lo avresti fatto, semplicemente è successo ma, qualora ancora non ti fosse successo sappi che esistono semplici accorgimenti che possono, ridurre o mitigare gli effetti di un'aggressione.



"Se conosci te stesso e conosci il nemico, in battaglia non soccomberai, se conosci te stesso e non il nemico o viceversa, è possibile che tu in battaglia soccombama se non conosci te stesso e neppure il nemico, probabilmente soccomberai".



In questa frase si racchiude molto dell'attività preventiva, ed a pensarci risulta quasi illogico che lo si debba scrivere, poichè risulta evidente che una persona con 15mila euro in tasca non debba girare seminuda nelle peggiori zone periferiche cittadine o a bordo di un bosco ma specificarlo inaltri termini puo'essere di aiuto, soprattutto adottando e "civilizzando" in termini operativi militari di protezione e scorta.



Regola principale è che l'aggressione vada evitata, per evitarla occorrono e concorrono più di uno tra i seguenti accorgimenti:



  1. non trovarsi sulla scena designata dall'aggressore, (non ci è nota ma puo' essere immaginata per stereotipi o casistiche di cronaca), se devi girare necessariamente seminuda o con addosso una quantità di denaro la cui consistenza è nota anche a terze persone modellerai il tuo itinerario, allungandolo del necessario finalizzato ad evitare luoghi isolati, ritrovi anche occasionali di persone socioeconomicamente svantaggiatate, luoghi privi di luminosità, luoghi scarsamente frequentati da persone di passaggio, scorciatoie esemplificabili in sottopassi, passerelle pedonali, cortili e giardinetti.


  1. Assumere un atteggiamento che preveda una vigilanza pronta e proattiva su quanto ti circondi, lo sguardo deve essere alto a livello della linea di orizzonte e deve incrociare la minaccia in modo fermo per tutta la durata necessaria alla stima della stessa minaccia, per un massimo di circa 2 secondi, in modo fermo e deciso. Qualora questo tempo non fosse necessario a stimare la minaccia, si può procedere ad una seconda "occhiata" sempre per un massimo di 2 secondi e non oltre. Se anche in questa operazione non si dipanasse il dubbio, ci troviamo in presenza di una prima certezza, la minaccia non è accreditata ma è potenziale e ci attiveremo, dunque, mediante azioni preventive atte a scongiurarla, cambieremo tragitto o marciapiede ed azioneremo una telefonata verso una persona amica che avremo comunque avuto intenzione di chiamare prima o poi.



  1. Non sposteremo il bene prezioso allontanandolo dalla minaccia, ad esempio una borsa dal lato destro al sinistro, cambierebbe realmente poco se non il fatto di indicare che all'interno della borsa abbiamo qualcosa che assuma un valore, fosse anche il primo dentino caduto di nostro figlio, questo lo sappia mo solo noi. Tale spostamento andrebbe fatto invece a monte, soprattutto evitando di camminare sul bordo di un marciapiede, tenendoci più distanti possibile dalla carreggiata e tenendo la borsa verso un riparo certo, un muro ad esempio.


  1. Qualora la persona, potenzialmente aggressiva, dovesse venirci incontro dobbiamo cercare, (se possibile senza rendere evidente che la decisione dipende dal timore verso lei), di spostare la nostra traiettoria ed evitarla, qualora questa soluzione non portasse ad un reale vantaggio resteremo sulla nostra posizione attivando subito una chiamata cellulare. Questa dinamica, in un soggetto non intenzionato a farci del male, dovrebbe suggerire di non avvicinarsi troppo, se non altro per buona creanza e rispetto della privacy. Lo sguardo non andrà mai abbassato, il cellulare andrebbe impegnato con la mano debole, sinistra per i destrorsi (circa il 75% della popolazione), a quel punto, senza soluzione di continuità tra le azioni e contemporaneamente occorrerà indirizzarsi all'interno di un esercizio pubblico, se presente o verso un gruppo di persone.



  1. E la mano forte? Ci è sin'ora chiaro che la minaccia possibile vada considerata minaccia al pari di una pistola su un tavolo che vada maneggiata comunque e sempre considerandola come arma carica, ci è chiaro anche che il bene vada protetto ma non è assolutamente detto che nelle nostre vicinanze vi sia un "recovery point" certo, un posto in cui rintanarci. La cosa certa è che non entrerete in un androne di uno stabile, non entrerete in un giardinetto pubblico o in un box sotterraneo e non è detto vi siano esercizi commerciali dove vi troviate. La mano forte in questo contesto ci servirà per porre in atto un primo principio di difesa passiva. Solo se e quando saremo certi che il soggetto sia realmente interessato a confrontarsi con noi. Non avremo ancora certezza delle sue intenzioni ma siamo pur sempre al telefono. La mano forte si alzerà orizzontalmente al terreno ed ad altezza del volto del presunto aggressore con il dito indice alzato pronunceremo con voce ferma e sguardo diretto la seguente frase "UN SECONDO !" (questo dispositivo va attuato 5-7 metri prima che la persona sia nella nostra bolla di sicurezza interpersonale o possa accedervi repentinamente in modo fulmineo) ed anche in questi 5/7 metri il margine, occorre dirlo per onestà, è ridotto. Se la persona, ricevuto il dispositivo, (vedremo poi, più avanti i comandi alfa), continuerà nel suo incedere verso noi ignorandolo, pur vedendoci occupati in una conversazione privata, (che ci è utile per disincentivare ma anche per dare descrizione a terzi del luogo, dell'abbigliamento del predatore ed attivare una richiesta di soccorso), ci considereremo ATTIVATI in quanto una nostra lecita disposizione è stata ignorata da uno sconosciuto, nel contesto di una nostra conversazione telefonica privata in atto.



Premeremo, se immediatamente presente più pulsanti possibili, (ricordo che ci troviamo sul lato interno, vicino a muri), della citofoniera di un palazzo (tentando di procurarci testimonianze) ed, in ogni caso, fuggiremo in direzione il più possibile opposta alla minaccia.



Abbiamo terminato e considerato tutta la parte relativa alla prevenzione, il modo migliore per non essere aggrediti è prevenire l'aggressione o sottrarvisi il prima possibile, questo prevederà la pianificazione di percorso, la valutazione di risorse preventivamente e sul posto (sguardo alto), l'attivazione di un backup, (essere accompagnati fisicamente, attivare una conversazione).


Cercare, per quanto possibile, l'inclusione nel tragitto di luoghi sottoposti a vigilanza fisica (piantonamento) e/o videosorvegliati (banche, presìdi istituzionali, ville private).





                                                                                                                                                 Gianpaolo E. Salerni


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