L'applicabilità di quanto appreso in allenamento è vana nel momento in cui ci si attende che nel contesto di un'aggressione reale si sviluppino le medesime (assenze) di imprevisti, nel momento in cui l'aggressione si svolga con il medesimo sviluppo creato in palestra.
Nessun aggressore, nessuno, ti dirà preventivamente come e soprattutto quando sarai minacciato o colpito, non correggerà la tua impostazione per agevolarti nella comprensione di quale sia il miglior modo per minimizzare il rischio di una conseguenza fisica e, spesso, psicologica. Sorge allora spontanea la domanda, a che serve? E' presto detto, qualsiasi centro che faccia dell'addestramento all'autodifesa, attenta e seria attività si preoccuperà innanzitutto di porre in essere, a livello iniziale, accorgimenti basilari, burocratici ma essenziali al corretto svolgimento dell'attività didattica.
Prima di tuttto NON si rivolgerà alle masse con una forme di recruiting massiccia, indiscriminata e che spesso porta autentici delinquenti, persone prive di principio etico e morale, ad assimilare tecniche potenzialmente lesive nei confronti del prossimo. La mia necessità, assecondando la forma, non sarà mai quella di iscrivermi ad un corso di "street fighting", anche se la sostanza della didattica non cambia, ritengo sia palesemente errato il modo in cui viene presentato il progetto formativo.
Lo dico non certo da pacifista convinto e neppure inconsapevole che nel contesto di una aggressione reale si debba porre in atto il "dog fighting", ovvero entrare nella mentalità di come lotterebbe un cane, senza soluzione di continuità fino all'esito certo, qualsiasi esso divenga. Va detto, contestualmente che in ottica di difesa personale il nostro vantaggio, le risorse da acquisire siano e debbano essere fondamentalmente due, guadagnare spazio (dalla minaccia) e guadagnare tempo, spesso questi due elementi agiscono in sinergia tra loro e sono reciprocamente complementari, se guadagni spazio e lo mantieni, guadagni anche tempo.
La finalità resta guadagnarsi la via di fuga e minimizzare il rischio o permettere ad un astante di attivare i soccorsi istituzionali.
Agire a tutela di se stessi utilizzando tecniche potenzialmente pericolose per l'aggressore, rapide, esplosive e risolutive è il modo ma l'obiettivo NON è permanere all'interno della minaccia, a tutti gli effetti una Killing Zone per effetto delle incognite che possano svilupparsi. In un contesto formativo serio ed organizzato saranno 3 le grandi fasi "addestrative", le tecniche saranno inizialmente spiegate in forma STATICA ed in forma statica ripetute al fine di ottimizzare postura e movimento, indirizzo sensoriale, valutarne il contesto di applicabilità, verificarla con soggetti presenti nel corso con fisicità e criticità diverse.
Successivamente saranno ripercorse in forma DINAMICA, ovvero ad una velocità ed intensità "simili" alla reale aggressione ed infine sotto STRESS neurogenico indotto, ovvero anrticipate da un esercizio o introducendo modalità che possano inibire la capacità di raziocinio, l'ipotesi più concreta e pericolosa in un contesto di aggressione reale.
E' quindi importante che "la classe" composta dagli allievi si dia nell'immediato disposta a portare a compimento un percorso formativo la cui premessa (e promessa) non dovrà mai essere quella di prevalere ed annichilire, cosi come inizialmente concepita ad uso militare, bensì minimizzare il rischio e garantirsi sopravvivenza ed autosussistenza in attesa di una "risorsa" che converga ad attuare la cessazione della minaccia.
Come ci si arriva? Con l'esercizio, sbagliando, ripetendo e sbagliando nuovamente, facendoselo sembrare inutile, improduttivo, perdendo tempo che sarebbe comunque perso ma poi, finalmente, guardando negli specchietti retrovisori a come eravamo messi il giorno prima, due giorni prima o prima di iniziare e...
sperando che non ci serva mai e nel caso sbagliassimo a riporre speranze, benedire quel tempo perso in palestra che ci permetterà di averne ancora.
